di dal nostro corrispondente da Parigi Stefano Montefiori
L’ex direttore generale: i dazi? Non-soluzione a un non-problema

«La globalizzazione non si fermerà, il capitalismo troverà degli aggiustamenti e chi non fa più affari negli Stati Uniti li farà altrove. Il commercio è come l’acqua, trova sempre il modo di scorrere. E ad approfittarne potrebbe essere l’Europa», dice Pascal Lamy, che sull’argomento ha qualche esperienza: 78 anni, commissario europeo al Commercio (1999-2004), poi direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (2005-2013), oggi coordinatore dei think tank Jacques Delors di Parigi, Berlino e Bruxelles.
Che cosa pensa delle mosse di Trump?
«Sogno un mondo in cui le questioni legate al commercio torneranno noiose, come sono sempre state. Ma Donald Trump è un tale genio della comunicazione che ha infiammato tutto».
Lo definisce genio della comunicazione, non genio dell’economia.
«No, da quel punto di vista si tratta di decisioni totalmente insensate. Trump pone un non-problema per il quale offre non-soluzioni».
Perché la visione di Trump è sbagliata?
«Il deficit commerciale americano non dipende dal fatto che l’America è depredata da furfanti. Nessun economista serio può pensarlo. Il punto è che gli americani consumano molto più di quanto producano, al contrario dei cinesi. E non hanno alcun problema a finanziare il loro deficit commerciale perché hanno il dollaro. Funziona così da 50 anni».
E l’idea di proteggere i lavoratori americani?
«L’idea di riuscire a farlo con i dazi è una credenza voodoo, una cosa da stregoni, una follia. Ma penso che Trump ci creda davvero».
E la marcia indietro? Tutto calcolato, come adesso cercano di raccontare a Washington?
«Macché. Dopo l’annuncio dei dazi, c’erano due scuole di pensiero: secondo la prima, Trump stava facendo una rivoluzione, creando un nuovo mondo che tutti eravamo chiamati a immaginare e affrontare. In base alla seconda scuola, invece, quella realista alla quale appartengo, quei dazi erano talmente insensati che la realtà avrebbe finito con il prendere il sopravvento. E la mia tesi è sempre stata che il ritorno alla realtà si sarebbe prodotto proprio negli Stati Uniti».
Il ritorno alla realtà è arrivato prima del previsto?
«Sì ma non sono state le Borse, il punto sono i tassi di interesse a lungo termine. Le obbligazioni di Stato a 10, 20, 30 anni. Un segno che il credito americano è colpito, e questo credo sia un dato durevole. E non mi sorprenderebbe se i cinesi avessero contribuito a fare alzare volutamente i tassi, a costo di perdere un po’ di soldi».
La marcia indietro non riguarda la Cina, anzi lì il confronto diventa più duro.
«Di fatto Trump ha imposto un embargo sulla Cina, anche se non lo chiama tale. E i cinesi non lo stanno gestendo affatto come una questione commerciale, ma geopolitica. Sono pronti allo scontro».
Questa situazione può andare a vantaggio dell’Europa?
«Sì, anche quanto al credito perso dagli Stati Uniti. Dove andrà? Lo yuan rappresenta una piccola parte del sistema monetario internazionale, l’euro è più importante. Certo l’Europa dovrebbe muoversi».
Che pensa della reazione europea finora?
«Ursula von der Leyen avrebbe potuto essere più ferma, ma ha una formazione atlantica che le è difficile abbandonare. I dazi sono una competenza europea del 1957 e questo resta, anche se la missione della premier Giorgia Meloni può essere utile politicamente. Macron ha avuto il consueto riflesso gollista, ma la novità è la reazione della Germania, che non può tollerare che vengano colpite le sue automobili. Possiamo aspettarci un governo tedesco più reattivo e europeista».